La vergogna come sostituto del senso di colpa nella clinica psicologica

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Siamo nel pieno dell’era della Tecnica, laddove si cerca di raggiungere il massimo scopo con il minimo dello sforzo.

L’uomo si affida cosi alle nuove tecnologie credendo invano che questo sia sinonimo di progresso quando invece non ci si accorge che è un miglioramento fine a sé stesso (si veda la disponibilità di armi nucleari che è di gran lunga superiore all’estinzione dell’uomo, addirittura si potrebbe annientare un sistema solare).

A parte la questione della fittizia miglioria che possiamo ricavare da un affidamento cieco e totale alla Tecnica, mi pare opportuno analizzare come questo cambiamento culturale abbia portato a un cambiamento nei sintomi riscontrabili nella clinica psicologica. Se prima il senso di colpa, legato alla violazione di valori morali interiorizzati, era il sintomo principale osservabile nella depressione, ora si nota con sempre maggiore evidenza che a dominare la scena è il sentimento di vergogna, correlato a disturbi d’ansia sociale e generalizzata.

È il frutto del considerare l’uomo come una macchina che deve produrre ed essere efficuente, non si considerano più le sfacettature umane della persona, ma solo la sua produttività, in ogni ambito; di conseguenza chi si sente poco produttivo, si sente inferiore e si vergogna, ritirandosi dalle relazioni sociali.

Di più, i giovani sono colpiti dalla mancanza di futuro, per cui non sanno come mai devono studiare e laurearsi se non c’è una prospettiva di lavoro concreta e in linea con quanto hanno studiato. Questo crea uno scoraggiamento di partenza e una depressione generalizzata. Occorre, praticando un “nichilismo attivo”, rimettere al centro l’umanità dell’individuoe non solo le sue abilità specifiche.

Forse così la clinica accoglierà meno richieste d’aiuto.

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