L’impossibilità di disporre, a tutt’oggi, di una terapia clinica in grado di bloccare definitivamente gli effetti compromissori dell’Alzheimer e di ripristinare il benessere del paziente, non significa che non sia possibile ritardare l’evolvere patologico degli stessi e di preservare al contempo le competenze cognitive residue. È quanto si prefigge la Terapia della Reminiscenza, fondata sulla stimolazione mirata della funzione mnestica attraverso la somministrazione di adeguati cues attivanti. Ricordarsi di ricordare, oltre a costituire un autentico “allenamento” della memoria, aiuta il paziente a mantenere inalterato quel senso di continuità e coesione del Sé che nella malattia di Alzheimer viene dolorosamente perduto.
Tra le ricadute cognitive provocate dal disturbo di Alzheimer quella mnestica è senza dubbio una tra le più gravi e compromissorie della sfera esistenziale. Ad essere colpita è in primo luogo la memoria a breve termine: il soggetto non è in grado di richiamare alla mente informazioni e dati che dovrà riutilizzare in un lasso di tempo circoscritto; non sarà difficile trovare un malato di Alzheimer incapace di ricordare cosa abbia mangiato solo poche ore prima, e al contempo perfettamente in grado di rievocare eventi che appartengono alla sua infanzia.
Ciò non significa che la memoria a lungo termine verrà preservata da un decadimento a sua volta irreversibile . Con il tempo il paziente non sarà in grado di richiamare alla mente episodi vissuti molti anni prima, e dunque consolidati stabilmente nella memoria cerebrale; in ultimo tenderà a dimenticare persino il proprio nome e quello dei propri cari.
Dal punto di vista clinico non c’è molto che si possa fare per impedire l’insorgenza di una sintomatologia così invalidante e dolorosa; è tuttavia possibile ritardarne lo sviluppo tramite l’impiego di una serie di terapie cognitivamente stimolanti in grado di rallentare il processo degenerativo mnestico, migliorando al contempo la qualità di vita del paziente e di quanti sono chiamati ad assisterlo.
La terapia nello specifico: funzioni ed effetti
Tra gli strumenti terapici considerati più utili ai fini di un miglioramento mnestico troviamo la terapia della reminiscenza, il cui scopo è quello di esortare il paziente a ricordare quanto più possibile, al fine di stimolare le risorse cognitive residue ed evocare stati d’animo piacevoli.
Alla base c’è l’intuizione di Butler, medico fondatore del metodo, che nel 1963 notò come la naturale inclinazione dell’anziano volta a rievocare e a condividere ricordi della propria giovinezza potesse essere impiegata in una modalità terapeutico-riabilitativa finalizzata a riattivare la funzione mnestica e a ritardarne i deficit.
Gli effetti benefici di questo esercizio non si limitano tuttavia alla dimensione mnestica, estendendosi anche a quella attentiva, rielaborativa e comunicativa: lo strumento narrativo, oltre a fornire un valido stimolo per il linguaggio verbale e un’opportunità interattiva, fornisce infatti al ricordo ordine, sequenzialità, struttura logica e una collocazione spazio-temporale ben precisa.
Il paziente si allena a “posizionare” gli eventi distinguendo il passato dal presente e imparando ad orientarsi in maniera realistica nella propria dimensione esistenziale. Al contempo questa integrazione tra ricordi riesce ad ampliare la memoria recente, oltre a creare un importante punto di contatto con la realtà esterna, una sorta di ponte tra il soggetto, la famiglia e quelle parti del Sé che, a causa della patologia dementigena, vengono avvertite come estranee, frammentate, disconnesse. Pertanto l’utilizzo di questa metodica sembra significativamente in grado di posticipare il processo di disintegrazione della personalità, garantendo l’allenamento mentale necessario al mantenimento dell’attività introspettiva e di un senso di coesione interiore.
Inoltre, la rievocazione affettiva che si accompagna alla narrazione consente di riattualizzare gli stati d’animo e le emozioni che hanno caratterizzato l’evento, dando vita ad una rivisitazione empatica che contribuisce a colorare la realtà interiore del paziente, ad apportare un miglioramento del suo umore e un incremento della socializzazione emotiva, oltre a contrastare la sensazione di solitudine e di isolamento sperimentati nel corso della patologia.
Dal punto di vista emotivo la terapia della reminiscenza si mostra un autentico laboratorio creativo, una fonte di stimolazione mnestica in cui i ricordi assumono una valenza trasformativa e significante, che, lungi dall’essere una mera rivisitazione cronologica dell’evento, si mostra come una nuova valutazione dello stesso, alla luce delle esperienze e delle maturità acquisite. Alcuni autori si riferiscono a questo processo col termine Life-Review, proprio in riferimento alla possibilità di rivalutazione dell’intero percorso esistenziale, direttamente connessa alla funzione rievocativa.
L’empatia dell’interlocutore
La terapia della reminiscenza può essere inserita nell’ambito di un’attività terapeutica strutturata, individuale o di gruppo, o può svolgersi in modo informale, con la collaborazione attiva di un assistente domiciliare o degli stessi familiari, previa partecipazione a sedute illustrative del metodo.
Lo stimolo rievocativo può essere identificato in un’immagine tratta da una foto, da un libro, o dalla Tv; al contempo anche un semplice oggetto può svolgere una funzione di riattualizzazione di eventi trascorsi o abitudini passate.
L’elemento fondamentale è che il soggetto riesca a percepire, durante ogni fase della rievocazione, il feedback costante e autentico dell’interlocutore, che dovrà mostrarsi empatico, responsivo e interattivo, in modo da ingenerare nel paziente la percezione di un ascolto pieno e accogliente. Raccontare qualcosa implica necessariamente la presenza di qualcuno che sia interessato al racconto, ma consente anche di collocare il narratore in una posizione centrale e di rilievo. In questo senso l’ascolto serve a conferire al paziente un incremento di autostima, senso di sicurezza e fiducia nel Sé, raggiunti grazie alla convinzione di sentirsi il “protagonista” in un contesto disposto ad accoglierlo pienamente, e non semplicemente a “sopportarlo”.
Il valore terapeutico della condivisione mnestica
Gli effetti benefici della terapia della reminiscenza sono stati scientificamente provati: in particolare, studi condotti su pazienti con Alzheimer tramite l’utilizzo della PET hanno rivelato come la terapia comporti un miglioramento generale del comportamento e un aumento del flusso ematico cerebrale nel lobo frontale, un’area che nell’Alzheimer va incontro a degenerazione precoce. È stato inoltre possibile rilevare un significativo aumento del metabolismo a livello corticale, nel cingolo anteriore bilaterale e nel lobo temporale inferiore sinistro, aree rispettivamente importanti per l’interazione sociale e la memoria remota. Recenti studi hanno rilevato l’efficacia della terapia anche come mezzo di prevenzione secondaria per la depressione.
Consentire ad un anziano di parlare del suo passato non costituisce solo un gesto dotato di indubbia valenza affettiva, ma un autentico strumento di terapia capace di preservare le funzioni cognitive e i pattern emotivi dagli effetti patologici della demenza. Al contempo, utilizzare le competenza attentivo-mnestiche in una funzione rievocativa sembra in grado di beneficiare il sistema psicofisico del paziente, che ha così l’occasione di proiettare il Sé deficitario in un periodo della vita nel quale non esisteva la malattia, e ricordare non era poi così difficile.
Riferimenti bibliografici
Bruce E., Hodgson S., Schweitzer P., I ricordi che curano. Pratiche di reminiscenza nella malattia di Alzheimer, Raffaello Cortina, Milano, 2003.
Butler R.N., “The life review: an interpretation of reminiscence in the aged”, in Psychatry, n°26, 1961.





























