IO SONO CITTADINO DEL MONDO.
Le domande che il viaggiatore (non) si pone
Nasco a Como e studio a Genova. Trovo l’amore a Napoli e ci trasferiamo a Roma. Ricevo un’opportunità di lavoro a Berlino e vado. Non mi sento a mio agio e chiedo un trasferimento: Losanna. Tempo di vacanze, beh soldi ne ho, vado in Giappone. Mi manca mamma torno un po’ a Como. Poi vado a Milano dove si è trasferito papà. La prossima volta, se avrò tempo, passerò qualche giorno a Torino, dove mia sorella si è sposata ed è più “stabile” di me. Peccato solo non sia andata la storia con il napoletano, non capisco, stavamo così bene assieme!
Nella generazione degli indipendenti, in tanti hanno deciso di staccare le “cinture di sicurezza” e partire. L’inseguimento del sempre maggiore benestare ci ha portati ovunque, con qualunque mezzo senza un biglietto di ritorno, perlomeno materiale.
Ma quanto pesa la distanza dalle radici? Quanto essere cittadini del mondo ci rende davvero “liberi”? E quanto le cinture di sicurezza ci avrebbero dato maggiore – appunto – sicurezza?
Per chi parte -e non sa se tornare- le domande interiori sono molteplici e facilmente generano una frustrazione che non si riesce a spiegare.
Alla ricerca della Felicità
Nella società attuale la felicità viene spesso identificata con la libertà, ma definire quest’ultima è davvero difficile e di pertinenza abbastanza filosofica. Libertà, quindi, viene spesso identificata con l’assenza di limiti. A volte però senza indicazioni o punti fermi si rischia di perdersi e allora la felicità la sentiamo sempre più lontana. “La felicità è una scelta” “essere felici è una abilità” “non è felice colui che più ha ma colui che fa tesoro di ciò che ha” , queste frasi risuonano nei social network facendoci ragionare molto e, spesso, sono accompagnate da una immagine di un furgone hippy o di una schiena con uno zaino di dimensioni epiche sopra.
Spesso ci dimentichiamo quanto gli affetti possano contribuire a questa ricerca e ci rendiamo conto che l’era tecnologica in cui viviamo ci permette di essere vicini a coloro che ci possono rassicurare, ma a volte non basta.
Invece accade, a volte, che la felicità ci sopraffae. Di fronte ad una aurora boreale, di fronte alla gentilezza dei cittadini del Paese in cui abbiamo scelto di vivere, di fronte a un tramonto.. e ci diciamo: “si, è questa la vita che voglio!”
Allora la felicità, di cosa è fatta?
Alla ricerca del Benessere
Benessere economico, benessere fisico, benessere morale, benessere psicologico. Ognuno di noi, alla partenza, giustifica la propria scelta con una di queste necessità. A volte una va a discapito di un’altra, ma spesso invece conquistiamo quanto cercato.
A Genova, nel quartiere di Boccadasse, è stata posta una targa che cita: “Stavo bene e per star meglio mi trovo qua” (D.P.) Leggendola fa di sfondo il mare, e fa comprendere come il benessere sia una ricerca personale, il cui contesto può solo arricchire.
Il feedback dei social network
La felicità, il benessere, la libertà, sono pubblicate fotograficamente sui social network, al fine di dare un feedback ai nostri conoscenti ma, forse, anche per ricevere dei feedback. Una risposta alla domanda: avrò fatto la scelta giusta? Se ti suscito un po’ di ammirazione, o forse invidia, allora credo di si, la mia scelta deve essere stata quella giusta! A volte, quindi, ci sentiamo confortati. Il conforto è inoltre dato dal fatto che, essendo parte di un network abbastanza social, non ci sentiamo mai davvero fuori dal mondo originario in cui siamo stati inseriti alla nascita o comunque cresciuti. Queste piattaforme funzionano non solo come feedback per il viaggiatore, ma anche come stimolo: le frasi sopracitate, accompagnate da immagini da sogno, inseriscono in molti la voglia di partire e di personificarsi in coloro che paiono aver trovato ciò che tutti -o quasi- cerchiamo.
In conclusione sula felicità
Partiamo o scappiamo? Troviamo o perdiamo? Ci avviciniamo o ci allontaniamo? Le domande interiori dei viaggiatori sono molteplici e contrastanti. Chi viaggia prende in mano la propria vita e prova a farne qualcosa di più. A volte, però, il viaggio è anche un perdersi. Spesso, ciò che manca, è solo la consapevolezza. La consapevolezza di essere cittadini del mondo e di volerne fare parte fino in fondo, al costo di lasciare e perdere le proprie tracce per ritrovarne costantemente di nuove.
Ecco che il viaggio senza ritorno diventa arricchimento ed una perdita al tempo stesso, con la domanda, a volte un po’ retorica, che accompagna tutti i viaggiatori: ne è valsa la pena (?).
MICHELA SOLE
Psicologa e Mediatrice Intercuturale
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